Formazione "il FIGLIO dell'UOMO" ARGOMENTO dalla STAMPA QUOTIDIANA

FORMAZIONE

il FIGLIO dell'UOMO

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dal 28 Marzo al 4 Aprile 2010

9a SETTIMANA MONDIALE della Diffusione in Rete Internet nel MONDO de

" i Quattro VANGELI " della CHIESA CATTOLICA , Matteo, Marco, Luca, Giovanni, testi a lettura affiancata scarica i file cliccando sopra Italiano-Latino Italiano-Inglese Italiano-Spagnolo

L'ARGOMENTO DI OGGI

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Un anno di Obama: le promesse

mantenute e quelle infrante

2009-10-02

Ingegneria Impianti Industriali

Elettrici Antinvendio

ST

DG

Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE

 

L'ARGOMENTO DI OGGI

 

Il Mio Pensiero:

Dal Sito Internet di

il SOLE 24 ORE

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2009-11-03

SONDAGGIO DEL SOLE 24 ORE SU BARACK OBAMA h 16,20 del 2009-11-03

Risultati di:

A un anno dall'elezione del presidente Usa Barack Obama, come giudichi il suo operato?

- Pessimo 6%

- Insufficiente 19%

- Sufficiente 15%

- Buono 32%

- Ottimo 28%

CORRIERE della SERA

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2009-11-02

 

 

 

REPUBBLICA

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2009-11-02

 

L'UNITA'

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2009-11-04

 

"Lentamente il suo sogno sta diventando realtà E parla al mondo intero"

di Umberto De Giovannangelitutti gli articoli dell'autore

Un anno di Obama.I sogni, le speranze, le resistenze... Un anno vissuto e analizzato assieme al più "obamiano " tra i politici italiani: Walter Veltroni.

Ad un anno di distanza dalla sua elezione, cosa è rimasto del "sogno" generato da Barack Obama?

"Credo sia rimasto molto, nel senso che questo primo anno di presidenza di Barack Obama è la dimostrazione che quando la politica ha una sua virtù etica, essa traduce i sogni in realtà, o almeno s’impegna a farlo. Io considero che quello che Barack Obama ha fatto in politica estera, e che gli è valso anche il Premio Nobel per la Pace, sia stato assolutamente in coerenza con quanto aveva detto: la riapertura diuna idea di multilateralismo; l’affermazione diun rapporto di confidenza con l’Onu; gli sforzi messi in atto per una soluzione di pace dei più grandi conflitti internazionali; l’impegno contro la proliferazione nucleare: sono tutte cose che hanno dato il segno di un cambiamento radicale rispetto alla politica estera di George W.Bush...".

E sul piano interno?

"Dobbiamo ricordarci che Obama ha iniziato il suo mandato nel pienodella più spaventosa crisi economica e finanziaria del dopoguerra. Ilmodo in cui l’ha affrontata, e ora, quella che per me è la partita più importante della vicenda del riformismo degli ultimi anni, vale a dire la riforma sanitaria, sono la testimonianza tangibile dicomein politica quando si è mossi da una visione, poi si riescono ad affrontare le più impegnative sfide per l’innovazione e sfidare i più radicati conservatorismi ".

Quali sono state le resistenze maggiori incontrate da Obama in questo primo anno di presidenza nel tradurre in fatti il sogno del Cambiamento?

"Le resistenze dei conservatori, dislocati su vari fronti. La grande manifestazione organizzata dai Repubblicani contro la riforma sanitaria, è stata in qualche modo il racconto della resistenza la cambiamento. Però, vedi, la meraviglia di quel Paese è che si apre un grande conflitto su un grande tema di merito; non un conflitto ideologico, ma un conflitto assolutamente legato al profilo di un’azione riformista. BarackObamasta sfidando coraggiosamente molti dei conservatorismi del suo Paese, tanto da rischiare, perché,comeabbiamo letto, i servizi segreti hanno dichiarato di non riuscire ad avere sufficienti forze per reggere a tutte le minacce rivolte contro Barack Obama. Quel Paese lì è un Paese in cui quando s’ingaggia una sfida riformista, le cose cambiano sul serio. Roosevelt, e poi Kennedy e Clinton ed oraObama:sono stati quattro momenti di radicale trasformazione degli Stati Uniti. Un esempio: con Kennedy la questione razziale... cose che riguardavano la storia e l’identità di quel Paese. Il riformismo per me è questo: è la sfida ai conservatorismi, è la scommessa innovatrice, è il coraggio di rischiare. Non è un quieto vivere. È il suo esatto contrario: è l’ambizione a cambiare il proprio Paese".

L’Europa si è dimostrata all’altezza delle sfide globali lanciate da Obama?

"Sinceramente no. Nel senso L’Europa stenta ad avere una sua fisionomia politico-istituzionale adeguata a Stati Uniti che volgono lo sguardo verso l’Europa con un atteggiamento del tutto diverso da quello di Bush e richiederebbero dall’Europa una maggiore forza, coerenza, unità. L’Europa, ad esempio, fa terribilmente fatica su alcune crisi che dovrebbero riguardarla direttamente, da quella mediorientale al rapporto con un’area strategica come è quella del Mediterraneo. La dottrina di Bush, con il suo unilateralismo, andava comodaad una Europa minima, e invece adesso bisogna che l’Europa si assuma le sue responsabilità e faccia le sue scelte sui dossier più difficili in prima persona".

Dall’Europa all’Italia. Un anno dopo, è sfiorito l’"innamoramento" della prima ora per Obama?

"Noi siamo un Paese molto emotivo; un Paese che vive intensissimi amori e intensissimi disamori con una rapidità che spesso è sinonimo di leggerezza e di superficialità. Da anni seguo Obama, l’ho conosciuto, quando tutti davano per scontato che avrebbe perso consideravo che sarebbe stata una ottima soluzione per gli Stati Uniti. Ad un anno di distanza resto convinto che per la Storia, e non solo per gli Usa, sia stato un fatto di grandissima importanza, che un uomo come Barack Obama abbia avuto la forza, la determinazione e l’intelligenza politica di spostare consenso, perché Obama ha vinto le elezioni spostando milioni di astensionisti che son tornati a votare, e voti che aveva preso Bush e che sono andati a Obama. E sono andati, vale la pena ricordarlo, aun profilo che era di forte innovazione e non a un tentativo di imitare Bush. Èstata una convergenza sul profilo maggiormente alternativo che però si è fatto carico anche dello sforzo di unificazione del Paese. Quando sono stato alla Convenzione democratica di Denver, Obama parlava degli Stati Uniti, non parlava come capo di una parte ma come chi si rivolgeva a l’intera comunità nazionale. E questa è stata la sua forza".

L’Afghanistan può rivelarsi per Obamaciò che per il suo predecessore è stato l’Iraq: una trappola infernale ?

"L’Afghanistan di tutti i dossier credo che sia il più ostico. Perché stare è difficile e lo è altrettanto andar via. Stare è difficile perché in un Paese come quello, nel quale nel corso della storia sono accadute tante cose, e spesso terribili e sanguinose, non è facile far maturare un processo di assunzione di meccanismi, modi e linguaggi propri di un pur faticoso processo di costruzione di uno spazio di democrazia e di libertà. D’altra parte, andar via sarebbe una sconfitta e lasciarecampolibero ai talebani; credo che Obama si renda conto che il dossier Afghanistan è strettamente legato al dossier Pakistan e che la virulenza dell’attacco integralista nell’uno e nell’altro Paese ha l’obiettivo di far saltare, ancor più che in Iraq, una speranza di stabilizzazione di quei Paesi che è interesse nel mondo intero. È il dossier più difficile, ma a mepare cheObamalo stia affrontando con quel misto di forza e politica che è mancato negli anni di Bush".

Questa domanda è Veltroni scrittore. Quale sarebbe il modo più appropriato per raccontare Obama e la sua "avventura ".

"La cosa fantastica di Obama è che è stato capace di entrare nell’immaginario del mondo intero: dal Kenya ai ragazzi italiani, dalla Scandinavia all’Asia... come è la politica nei suoi momenti più grandi, cioè quando accende la speranza di un cambiamento, perché altrimenti la politica è pura gestione.Obamaè entrato nell’immaginario e lo ha fatto in modo forte, ridando alla politica ossigeno e possibilità. Io la vedocomeuna grande sfida di una nuova generazione libera dalle ideologie, che cerca però di tradurre un bagaglio di valori e di ideali in azione concreta. Di tutte le dimensioni della politica questa mi sembra davvero la più affascinante".

Quindi il "Sogno" di Obama è ancora vivo?

"Assolutamente sì. Il "Sogno" è vivo perché sta diventando realtà. Perché se fosse rimasto un sogno, dopo un anno di governo sarebbe morto. Einvece siccome sta diventando realtà, con la fatica che si ha quando si cerca di tradurre un sogno di cambiamento a fronte di resistenze; la vivezza del sogno sta nel fatto che sta diventando reale".

04 novembre 2009

 

 

 

 

Barack Obama un anno di belle parole

di Luigi Bonanatetutti gli articoli dell'autore

Lo abbiamo lodato tanto, e tanto a ragione, che a un anno dall’elezione è semmai il momento di richiamare Obama alla realtà dei problemi internazionali, se non vogliamo doverci accorgere, uno di questi giorni, che finora c’è stato più fumo che arrosto, più spettacolo che soluzioni. L’arretrato non dipende da Obama, ma grava sulle sue spalle. L’eredità lasciata da Bush comprendeva ogni ordine di problemi, a incominciare dall’Iran, dove si intrecciano petrolio e nucleare, e per la prima volta Obama vi ha fatto sentire una parola di dialogo e di riconoscimento; ma più che parole ci vogliono accordi veri e propri. Cuba era stata umiliata fino all’estremo, ma la promessa di ricucire un rapporto civile e democratico si è arenata. Il principale successo di Obama è il ribaltamento dell’atteggiamento statunitense verso il resto del mondo: dall’unilateralismo testardo di Bush all’apertura al dialogo e alla compartecipazione. Tra i momenti magici ci sono il grande discorso di insediamento il 20 gennaio con il riconoscimento del pluralismo mondiale e l’accettazione dell’islamismo, ribadito e consolidato nell’ancor più emozionante discorso del Cairo il 4 giugno scorso. Anche il recupero dei buoni rapporti con l’Europa può essere a sua assegnato a questo settore (anche se l’Ue continua a nascondersi). Ma anche qui, attenzione: nessuno alla lunga potrà accontentarsi della strategia del sorriso, tanto meno Mosca o Pechino (anzi, la Cina potrebbe accrescere le preoccupazioni di Obama se le sue riserve in dollari venissero immesse sul mercato: ma ci rimetterebbe anche la Cina, che così, paradossalmente, è oggi il migliore alleato degli Usa).

L’opinione pubblica internazionale è (ancora?) dalla sua, ma la musica cambia di fronte ai problemi più sostanziali che si trovano nel Medio Oriente e in Asia minore. Per l’Afghanistan e l’Iraq è difficilissimo intravvedere il fondo del baratro, ma l’Occidente dovrà ritirarsene prima che sia troppo tardi e i guasti nei confronti delle popolazioni si facciano irreparabili. E poi c’è il problema dei problemi: la questione israelo-palestinese, la madre di tutti i conflitti del dopo-guerra. Dura da 61 (!) anni e attraverso cinque guerre ha addirittura deformato il concetto di guerra: non più scontro diretto e decisivo, ma ostinata successione di scontri locali (anche terribili, come a Gaza) di ognuno dei quali siamo abituati a sapere che non sarà l’ultimo. Di lì sono venuti i modelli del terrorismo, da una parte, e del neo-colonialismo insediativo, dall’altra; non abbiamo ancora superato l’ottuso mito dell’accoppiata tra stato e nazione come se soltanto insieme potessero realizzarsi. Se non si possono costruire due stati-nazionali sullo stesso territorio, bisogna mettersi alla ricerca di altre soluzioni che nessuno ha più davvero cercato: ora tocca a Obama, e se ce la farà si sarà meritato un premio Nobel!

04 novembre 2009

 

 

 

 

 

Passo falso per i democratici nelle elezioni locali in Usa

È stato un piccolo election day e poteva certamente andare meglio per i democratici statunitensi, a un anno dalla vittoria a valanga delle presidenziali. Si votava per eleggere i governatori di New Jersey e Virginia, il sindaco di New York e un deputato in rappresentanza del distretto che comprende la parte settentrionale della Grande Mela.

I repubblicani hanno portato a casa entrambi i governatori. In New Jersey Chris Christie ha sconfitto il governatore uscente, Jon Corzine: sulla base del risultato già comunicato dal 98 per cento dei distretti, il candidato repubblicano avrebbe staccato il democratico di circa cinque punti.

Stesso copione in Virginia, stato che ha la consuetudine decennale di scegliere sempre governatori del partito opposto a quello del presidente. Se Obama l'anno scorso fu il primo democratico a vincere nello stato dal 1964, i repubblicani quest'anno non hanno dovuto faticare per eleggere nuovo governatore il loro Robert McDonnell, infliggendo un severo distacco – quasi diciotto punti – al candidato democratico Creigh Deeds.

Nessuna sorpresa a New York, dove il magnate Michael Bloomberg, indipendente, è stato rieletto sindaco al termine di una campagna elettorale che ha fatto molto discutere a causa dell'enorme quantità di denaro che il tycoon ha utilizzato per promuoversi.

Altra corsa interessante, quella del 23simo distretto di New York. La sfida aveva attirato diversa attenzione a causa della spaccatura interna ai repubblicani, simbolo del dibattito interno che in questi mesi ha lacerato un partito diviso tra una tendenza moderata e modernizzatrice e una oltranzista e ultraconservatrice. In un collegio di orientamento tradizionalmente di destra, i conservatori in corsa erano due: la repubblicana moderata Dede Scozzafava e il conservatore Douglas Hoffman, protagonisti in questi mesi di una polemica dai toni spesso molto accesi. Il tutto a vantaggio del candidato democratico, Bill Owens, che infatti ha avuto gioco facile nel vincere il seggio.

Nonostante il passo falso dei democratici, i dati sul gradimento del presidente Obama rassicurano la Casa Bianca. Sia in New Jersey che in Virginia, infatti, i sondaggi hanno confermato la popolarità del presidente sui livelli di un anno fa, e gli elettori hanno dichiarato in gran maggioranza che la politica dell'amministrazione non ha rappresentato un fattore di scelta in consultazioni dalle spiccate caratteristiche locali. Sarebbe sbagliato però, a un anno dalle elezioni di metà mandato, sottovalutare il significato di questo campanello d'allarme: se i dati economici sono confortanti e dovrebbero garantire all'amministrazione una primavera di rinnovata fiducia, al presidente Obama il compito di far diventare realtà alcune delle sue principali promesse in campagna elettorale, a cominciare dalla riforma sanitaria, così da respingere l'offensiva dei repubblicani e proseguire sul cammino delle riforme.

04 novembre 2009

il SOLE 24 ORE

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2009-11-02

Un anno di Obama: le promesse

mantenute e quelle infrante

1 novembre 2009

Barack Obama (Reuters)

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"Dai nostri archivi"

Atlante è in rivolta, Atlantino in pantofole

Il mondo nuovo senza bombe atomiche

Obama promette: "Riforma sanitaria entro il 2009"

Il G-8 manterrà le promesse?

L'abc del programma di Barack Obama

Sono oltre 500 le promesse fatte da Barack Obama prima come candidato elettorale e quindi come inquilino della Casa Bianca. Il sito Politifact.com si è assunto il compito non solo di elencarle ma di seguire giorno dopo giorno quali sono state mantenute e quali invece sono già state infrante.

PROMESSE MANTENUTE: 49.

Tra le più importanti: creare un fondo per aiutare a pagare il mutuo delle casa; rafforzare i diritti degli utenti delle carte di credito; firmare la Convenzione Onu sui diritti dei disabili; inviare altri soldati in Afghanistan; annunciare la data del rimpatrio dei soldati Usa dall'Iraq; pronunciare un importante discorso sui rapporti con i musulmani nei primi 100 giorni della sua presidenza; garantire maggior trasparenza sui documenti presidenziali; includere vittime gay in reati di odio; creare uno 'zar' per la tecnologia; proibire doni da parte di lobby e lobbisti ai membri dell'amministrazione; investire in energie alternative; incoraggiare treni ad alta velocità; includere almeno un repubblicano nel suo gabinetto; abolire le restrizioni su ricerche staminali; regalare un cucciolo di cane alle figlie.

PROMESSE INFRANTE: 7.

Tra queste: abolire tasse per gli anziani che guadagnano meno di 50 mila dollari l'anno; tenere per cinque giorni le leggi esposte su internet prima di firmarle; creare crediti fiscali per le aziende che aumentano i posti di lavoro; riconoscere il genocidio degli Armeni; negoziare la riforma sanitaria in sessioni pubbliche trasmesse dalla tv.

PROMESSE MANTENUTE A METÀ: 14.

Tra queste: tenere un summit nel 2009 contro il terrorismo nucleare (sarà, invece, nel 2010); punire più severamente chi assume immigrati illegali; non aumentare alcuna tassa per le famiglie sotto i 250mila dollari l'anno di reddito.

PROMESSE IN FASE DI STALLO: 14.

Tra queste: permettere importazioni di medicinali da altri paesi; ripristinare i pieni diritti legali per "combattenti nemici"; respingere la politica del Pentagono 'Don't Ask, Don't Tell' relativa alla presenza di omosessuali nell'esercito; nuova tassa sui guadagni delle compagnie petrolifere;

PROMESSE CHE STA CERCANDO DI MANTENERE: 127.

Tra queste: riforma sanitaria; raddoppiare fondi federali per le ricerche sul cancro; eliminare la pratica dei bilanci extra per finanziare le guerre; chiudere il carcere di Guantanamo; ridurre gli arsenali nucleari; migliorare la qualità dell'acqua potabile; accelerare sviluppo un nuovo veicolo spaziale; rafforzare le dighe di New Orleans; ridurre la dipendenza dal petrolio straniero; stabilire nuovi standard per le emissioni di gas inquinanti; consumo energia più efficiente.

PROMESSE ANCORA IN LISTA DI ATTESA: 304.

Tra queste: lista dei paradisi fiscali; niente bonus ai dirigenti delle società in bancarotta; aiuti per espatriati iracheni; standard trasparenti per appalti militari; nomina 'zar' per la sicurezza nucleare; bandire la vendita dei giocattoli che contengono piombo; aumentare fondi per parchi nazionali; aumentare salario minimo a 9,50 dollari orari; rafforzare trattato non proliferazione nucleare.

1 novembre 2009

 

 

 

 

 

 

 

AVVENIRE

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